Che sorte.
Vini trentini mi guidarono a brindare con avvocati, professori e poliziotti...
Cantammo canzoni sguaiate, come solo quelle venete e toscane sanno essere.
Ebbri intonammo cori anarchici, irridenti, sfacciati, sempre e comunque pieni di generosi riferimenti alla Grande Madre Antropologica: sua maestà la fica, declinata in tutte le varianti dialettali ed accademiche, risplendeva nei nostri cori da taverna, nelle citazioni cinefile, nelle ricche aneddotiche personali di gente con molte cravatte e rispettabili posizioni diurne.
D'altronde, esistono forse ad altro scopo i consessi d'accademici, le riunioni ed i convegni, se non quello di passare le nottate attorno ad un tavolaccio avvinato, gareggiando per trovare modi forbiti di descrivere il vizio della carne?
Pazienza se si farà tardi: ci sarà tempo la mattina dopo, raccolti in platea davanti al lecturer di turno, per dormire.
Bucaiole di tutto il mondo, unitevi! mi sussurrava così all'orecchio un insospettabile diplomatico aretino che, la mattina dopo, sarebbe ripartito per il suo ufficio di Bruxelles. Il segreto della bucaiola, mi diceva, sta nell'aspirazione. Della C, ma non solo.
Una sera, ebbro, versai vino nella coppa dell'ispettore di polizia al mio fianco, e gli chiesi, con tutta la serietà e la pompa di cui fui capace: Tu che senz'altro ti sei già risposto, quanto ci si mette, una volta finita l'università, a diventare Stronzi?
Dall'alto dei suoi cinquant'anni mi disse, prima di bere ancora oblìo -effimero- dalla coppa: Poco, molto poco.
Quei signori... tutti amichevolmente li apostrofai, prendendomi quella confidenza della quale può godere, tramite la pratica imparziale dell'ironia, perfino il giovane tra i vecchi.
Dovetti spingere così tanto sull'acceleratore che una notte Tafer, un algerino che vive a Perpignan, mi chiamò Jean Paul, alchè, al mio sussulto, mi spiegò che non si voleva riferire ad una somiglianza con Giovanni Paolo II: piuttosto, egli commetteva l'imprudenza d'accostarmi a giovanni paolo sartre. Il mio sussulto, allora, fu più grosso: il buon jean paul... non avevo nemmeno un quarto della sua ferocia, nemmeno un quarto delle sue donne, e nemmeno un quarto dei suoi dolcevita. Eppure Tafer mi assicurava, bevendo red bull (che evidentemente, al contrario del Marzemino, deve essere halal), che, dopo aver lavorato qualche mese al Moulin Rouge delle notti di Pigalle, dopo aver scoperto quanto il buio di Marsiglia sappia essere vivace, e quanto di più lo sappia essere la casbah di Algeri, dopo tutto questo, e molto altro, gli sembrava comunque che io fossi ben piazzato nella classifica dei figli di puttana più figli di puttana con i quali egli mai avesse avuto a che fare. Ahimè, Tafer, mi sopravvaluti, gli dissi triste. Per tirarmi su, mi offrì uno speciale tabacco algerino da mettere sotto le labbra, a diretto contatto con le gengive: in neanche cinque minuti capii quanto questi algerini siano esperti riguardo le possibilità offerte, in termini di velocità di assorbimento percutaneo, dalle mucose della bocca.
Un pomeriggio poi, io e tre donne andammo a fare la sauna e il bagno turco. Di queste, proprio un'ucraina dalle lunghe gambe, che peraltro di giorno giocava a fare la gran donna, fu l'unica ad indossare il costume. Suppongo che si sarebbe portata volentieri anche il peluche.
Le altre due, americane, più rilassate mi accompagnarono nella nudità: dovevano aver compreso che, nella vecchia decadente Europa, più si va a nord, e meno una sauna di gruppo nudi sembra peccato.
Così, mentre mi guardava sorridendo, e non negli occhi, la texana mi disse: Well, now I know some of your secrets...
Una notte scoprii, poi, un'altra texana intenta a strusciarmisi addosso. Finalmente potei usare due o tre espressioni anglofone, piuttosto oscene, che m'ero sempre tenuto a mente, ma che non avevo mai avuto occasione d'inserire in conversazione. Ci divertimmo, e con pazienza lei corresse il mio inglese.
Finchè l'ultima mattina, alle sei, s'era ancora nella hall dell'albergo a bere Teroldego e mangiare salame di cervo assieme all'anarchico toscano (grande fotografo free lance) e all'irlandese appena giunto dal Laos. L'irlandese mi consegnò il suo depliant del sud est asiatico: gran bella gente, bei posti, prezzi bassi, droghe abbondanti, natura perfetta... e pochi, pochissimi ciccioni bianchi...
Prima di congedarsi, mi volle giurare come la Guinness fu inventata, in Irlanda, dalla chiesa cattolica perchè, a causa del gran consumo di whiskey, la società irlandese rischiava di diventare un big mess, un gran casino. I padri bevevano whiskey e picchiavano le mogli, le mogli bevevano whiskey e picchiavano i figli, i figli bevevano whiskey e picchiavano i padri.. e si ricominciava da capo.
Così, mi disse, fu inventata la birra: liquido ben più acquoso del whiskey, venne progettato in modo che il suo consumo eccessivo provocasse sonnolenza, e non boria rissosa. Laddove troppo whiskey, ricco di zuccheri, rendeva gli irlandesi energici, violenti ed instancabili, troppa birra li rendeva semplicemente goffi, stanchi e scoordinati. Potevano così addormentarsi biascicando in un androne o sulle sedute del pub: la façade sociale della vecchia Irlanda era salva, deo gratias.
Il giorno del congedo, il mio compagno di stanza australiano mi regalò una piccola statuetta made in egypt: una piramide, completa di sfinge, molto pacchiana e al contempo molto bella. La portava con sè da quando aveva lasciato Il Cairo, dove aveva lavorato per qualche mese.
Veniva così il mio turno: io non sapevo cosa dargli, finchè non trovai, rimestando in valigia, una manciata di confezioni di nutella, di quelle monoporzione che si trovano negli alberghi: le avevo previdentemente asportate, gonfiandomi le tasche, il giorno in cui avevo smesso di fare il portiere di notte.
In a way, it's all I have got, gli dissi. Le prese volentieri.
Vini trentini mi guidarono a brindare con avvocati, professori e poliziotti...
Cantammo canzoni sguaiate, come solo quelle venete e toscane sanno essere.
Ebbri intonammo cori anarchici, irridenti, sfacciati, sempre e comunque pieni di generosi riferimenti alla Grande Madre Antropologica: sua maestà la fica, declinata in tutte le varianti dialettali ed accademiche, risplendeva nei nostri cori da taverna, nelle citazioni cinefile, nelle ricche aneddotiche personali di gente con molte cravatte e rispettabili posizioni diurne.
D'altronde, esistono forse ad altro scopo i consessi d'accademici, le riunioni ed i convegni, se non quello di passare le nottate attorno ad un tavolaccio avvinato, gareggiando per trovare modi forbiti di descrivere il vizio della carne?
Pazienza se si farà tardi: ci sarà tempo la mattina dopo, raccolti in platea davanti al lecturer di turno, per dormire.
Bucaiole di tutto il mondo, unitevi! mi sussurrava così all'orecchio un insospettabile diplomatico aretino che, la mattina dopo, sarebbe ripartito per il suo ufficio di Bruxelles. Il segreto della bucaiola, mi diceva, sta nell'aspirazione. Della C, ma non solo.
Una sera, ebbro, versai vino nella coppa dell'ispettore di polizia al mio fianco, e gli chiesi, con tutta la serietà e la pompa di cui fui capace: Tu che senz'altro ti sei già risposto, quanto ci si mette, una volta finita l'università, a diventare Stronzi?
Dall'alto dei suoi cinquant'anni mi disse, prima di bere ancora oblìo -effimero- dalla coppa: Poco, molto poco.
Quei signori... tutti amichevolmente li apostrofai, prendendomi quella confidenza della quale può godere, tramite la pratica imparziale dell'ironia, perfino il giovane tra i vecchi.
Dovetti spingere così tanto sull'acceleratore che una notte Tafer, un algerino che vive a Perpignan, mi chiamò Jean Paul, alchè, al mio sussulto, mi spiegò che non si voleva riferire ad una somiglianza con Giovanni Paolo II: piuttosto, egli commetteva l'imprudenza d'accostarmi a giovanni paolo sartre. Il mio sussulto, allora, fu più grosso: il buon jean paul... non avevo nemmeno un quarto della sua ferocia, nemmeno un quarto delle sue donne, e nemmeno un quarto dei suoi dolcevita. Eppure Tafer mi assicurava, bevendo red bull (che evidentemente, al contrario del Marzemino, deve essere halal), che, dopo aver lavorato qualche mese al Moulin Rouge delle notti di Pigalle, dopo aver scoperto quanto il buio di Marsiglia sappia essere vivace, e quanto di più lo sappia essere la casbah di Algeri, dopo tutto questo, e molto altro, gli sembrava comunque che io fossi ben piazzato nella classifica dei figli di puttana più figli di puttana con i quali egli mai avesse avuto a che fare. Ahimè, Tafer, mi sopravvaluti, gli dissi triste. Per tirarmi su, mi offrì uno speciale tabacco algerino da mettere sotto le labbra, a diretto contatto con le gengive: in neanche cinque minuti capii quanto questi algerini siano esperti riguardo le possibilità offerte, in termini di velocità di assorbimento percutaneo, dalle mucose della bocca.
Un pomeriggio poi, io e tre donne andammo a fare la sauna e il bagno turco. Di queste, proprio un'ucraina dalle lunghe gambe, che peraltro di giorno giocava a fare la gran donna, fu l'unica ad indossare il costume. Suppongo che si sarebbe portata volentieri anche il peluche.
Le altre due, americane, più rilassate mi accompagnarono nella nudità: dovevano aver compreso che, nella vecchia decadente Europa, più si va a nord, e meno una sauna di gruppo nudi sembra peccato.
Così, mentre mi guardava sorridendo, e non negli occhi, la texana mi disse: Well, now I know some of your secrets...
Una notte scoprii, poi, un'altra texana intenta a strusciarmisi addosso. Finalmente potei usare due o tre espressioni anglofone, piuttosto oscene, che m'ero sempre tenuto a mente, ma che non avevo mai avuto occasione d'inserire in conversazione. Ci divertimmo, e con pazienza lei corresse il mio inglese.
Finchè l'ultima mattina, alle sei, s'era ancora nella hall dell'albergo a bere Teroldego e mangiare salame di cervo assieme all'anarchico toscano (grande fotografo free lance) e all'irlandese appena giunto dal Laos. L'irlandese mi consegnò il suo depliant del sud est asiatico: gran bella gente, bei posti, prezzi bassi, droghe abbondanti, natura perfetta... e pochi, pochissimi ciccioni bianchi...
Prima di congedarsi, mi volle giurare come la Guinness fu inventata, in Irlanda, dalla chiesa cattolica perchè, a causa del gran consumo di whiskey, la società irlandese rischiava di diventare un big mess, un gran casino. I padri bevevano whiskey e picchiavano le mogli, le mogli bevevano whiskey e picchiavano i figli, i figli bevevano whiskey e picchiavano i padri.. e si ricominciava da capo.
Così, mi disse, fu inventata la birra: liquido ben più acquoso del whiskey, venne progettato in modo che il suo consumo eccessivo provocasse sonnolenza, e non boria rissosa. Laddove troppo whiskey, ricco di zuccheri, rendeva gli irlandesi energici, violenti ed instancabili, troppa birra li rendeva semplicemente goffi, stanchi e scoordinati. Potevano così addormentarsi biascicando in un androne o sulle sedute del pub: la façade sociale della vecchia Irlanda era salva, deo gratias.
Il giorno del congedo, il mio compagno di stanza australiano mi regalò una piccola statuetta made in egypt: una piramide, completa di sfinge, molto pacchiana e al contempo molto bella. La portava con sè da quando aveva lasciato Il Cairo, dove aveva lavorato per qualche mese.
Veniva così il mio turno: io non sapevo cosa dargli, finchè non trovai, rimestando in valigia, una manciata di confezioni di nutella, di quelle monoporzione che si trovano negli alberghi: le avevo previdentemente asportate, gonfiandomi le tasche, il giorno in cui avevo smesso di fare il portiere di notte.
In a way, it's all I have got, gli dissi. Le prese volentieri.
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