lunedì, dicembre 18, 2006

la provincia si gratta

La recente e quasi tenera apertura di un sexyshop nella piccola città nella quale al momento mi trovo a risiedere mi fa venire alla mente un c'era una volta.
Un tempo lontano mi trovavo in nordeuropa a cogliere pere per conto di una locale coppia di agricoltori. La paga era buona, il lavoro, tuttavia, era piuttosto pesante.
Un weekend, godendo del tempo di riposo dallo stancante lavoro settimanale, presi il primo treno per la vicina metropoli, e mi persi nelle sue strade fumose e nei suoi vizi pacchiani. Visitai infine uno di questi negozietti peculiari che abbondavano da quelle parti ben prima che ne venisse aperto uno perfino a carpi. Ebbene, dentro questo sexyshop trovava posto una cabina circolare con pratici oblò dai quali era possibile, previa inserimento di monetina, dare un’occhiata alla scena che si svolgeva all’interno, per un tempo massimo di circa 5 minuti. Il peep show, in altre parole.
Io inserii ovviamente la mia monetina, sudata a colpi di pere.
Quando si aprì l’oblò, i due mi sembrarono, se pur vagamente annoiati dalla routine degli atti copulatori, molto, molto lontani dalla stanchezza che mi causavano le pere dall’alba al tramonto.
Fu allora che decisi che quella noia sui loro volti doveva essere comunque un male minore, rispetto alla braccianza agricola che mi trovavo contrattualmente a svolgere ogni santo giorno.
Trovai allora il gestore del posto, un corpulento nero dai capelli unti, e gli chiesi se per caso avesse avuto bisogno di un giovane figurante da inserire in cartellone, magari con il sano affiancamento di qualche più esperta protagonista. Ovviamente, mi informai anche sul trattamento economico, sugli obblighi contrattuali, giorno di paga, etc.
Feci poi qualche rapido calcolo.
La triste realtà era che le pere, neanche a dirlo, pagavano molto, molto di più. Anzi: con il peep show c’era di che morire di fame, o, peggio, di che dover tornare immediatamente in patria, dato che le mie riserve si sarebbero assottigliate molto, molto rapidamente.
Mentre pensavo a questa perversa rivincita della morale, la quale sembrava inseguirmi fin sul piano economico, mi congedai dal gentile nero, che, notai tra me e me, era comunque stato molto professionale nel farmi capire che non mi avrebbe dato praticamente un cazzo se io gli avessi venduto quella che, del resto, era una forza-lavoro del cazzo.
Uscii allora nella nebbiolina d’ottobre, e m’incamminai verso la stazione per prendere il treno che mi avrebbe riportato nella campagna.
Non era quello il primo, non sarebbe stato quello l’ultimo di una serie di colloqui di lavoro, ancora, del cazzo.

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