venerdì, ottobre 06, 2006

La forza della gravità

Dice la natura: ciò che s'alza, in seguito ricade. Ciò che sale, riscende. Ciò che splende, s'offusca. Nonostante la gentile chiarezza di questa sua legge, accade ad alcuni di non riuscire ad afferrarne l'universalità: essi finiscono così per tentare di opporvisi, con non trascurabile affanno, nell'ostinazione di sottrarre ai suoi regolamenti cose considerate care ed eccezionali, come un affetto, un'idea, un bene.
Il fioraio conosce le leggi del mondo, e sa che ciò che fiorisce sfiorirà. Ma egli non spande tristezza dicendo: "La rosa vive, e poi muore". Egli, spostando l'accento, preferisce dire: "La rosa appassisce, ma prima profuma".
Egli apprezza e gusta l'ascesa e lo splendore, cavalcandoli, ma al contempo sa che la parte discendente della parabola potrà essere altrettanto vitale ed interessante. I colori della decadenza non inducano dunque a distogliere l'occhio, ma anzi a guardare con più attenzione ancora. Solo in tal modo sarà concesso, all'amante della verità, di godere fino ad un attimo prima del buio finale.

Ciò che era un palazzo di nobili è oggi un covo di topi e uccelli: all'occhio curioso ne risente forse la maestosità dei suoi profili? Non giunge all'immaginante orecchio ancora l'eco dei giocosi amplessi, degli intrighi, delle commedie che si tenevano tra le sue mura e sulle sue loggette? Ecco, guardiamo il portone che un tempo faceva largo al potente, e che ora giace scrostato e bruciato dal sole. Ebbene, il cuore attento non vi intravede ancora il fastidio di chi lo varcava altezzoso per uscire in città e mischiarsi al popolo, o il sogno di chi, speranzoso, dalla città lo attraversava per salire a palazzo e chiedere favori e privilegi?
Allo stesso modo, risiede forse il fascino delle macerie di un tempio greco nella perfezione? O, piuttosto, nella sua indefinitezza?
Rispecchiamoci allora nella sua nuda mancanza.
Noi siamo l'impero alla fine della decadenza.

Nessun commento: